IL PRETORE
    Ha  pronuncito  la seguente ordinanza r.g.l. n. 11924/90, promossa
 da Silmo Malinverni Elba e altri 435, rappresentati  e  difesi  dagli
 avv.ti  Marino  Bin  e  Giovanni  Villani,  parti  ricorrenti, contro
 l'I.N.P.S.   -   Istituto   nazionale   della   previdenza   sociale,
 rappresentato  e  difeso  dai dott. proc. Franco Borla e Adele Olla',
 parte convenuta.
    Letti gli atti, ascoltati i patroni delle  parti,  osserva  quanto
 segue:
    1.  -  I  ricorrenti,  titolari  di pensione I.N.P.S. a carico del
 Fondo pensioni lavoatori dipendenti, a far tempo da date comprese tra
 il 1976 ed il 1987, sono stati  assoggettati  alle  disposizioni  sui
 limiti  massimi di retribuzione annua pensionabile (c.d. "tetto") via
 via succedutesi nel tempo ed operanti all'atto del pensionamento.
    E chiedono al pretore:
       a)  in  via  principale,  di  estendere  a  loro  beneficio  le
 modifiche  alla  disciplina  dei  tetti introdotte dall'art. 19 della
 legge 23 aprile 1981, n. 155 (che  ha  elevato  il  massimale,  quale
 previsto  dall'art.  5,  quinto  comma, del D.P.R. 27 aprile 1968, n.
 488, in L. 12.601.600, a L. 18.500.000, con riferimento alle pensioni
 liquidate con decorrenza successiva al 31 dicembre  1980),  dall'art.
 3,  tredicesimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (che dal 1º
 gennaio 1983 ha indicizzato il precedente massimale, elevato  dal  1º
 gennaio  1983 a L. 20.271.000 e dal 1º gennaio 1984 a L. 21.271.000),
 dall'art. 9 della legge 15 aprile 1985, n. 140  (che  ha  elevato  il
 massimale a L. 32.000.000 dal 1º gennaio 1985).
    Il  tutto  a  decorrere  dalle  rispettive date ivi indicate e con
 conseguente rideterminazione della retribuzione media pensionabile  e
 ricalcolo pensionistico;
       b)   in   via   subordinata,   di   ritenere  rilevante  e  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 delle  disposizioni  di  legge  citate  sub  a),  in  riferimento  al
 principio di eguaglianza  sancito  dall'art.  3  della  Costituzione,
 nella parte in cui non operano anche a beneficio dei gia' pensionati,
 i  quali  vengono  cosi'  discriminati rispetto a queli futuri, anche
 sotto il profilo del diverso e  piu'  svantaggioso  collegamento  tra
 retribuzione e pensione.
    Una  parte  dei  ricorrenti,  titolari  di pensione con decorrenza
 iniziale compresa tra il 1976 ed il 1984, beneficia ora  delle  nuove
 disposizioni   sui   limiti   mssimi  di  retribuzione  pensionabile,
 introdotti dall'art. 2 del d.P.C.M. 16  dicembre  1989  (in  Gazzetta
 Ufficiale,  n.  299  del  23 dicembre 1989) e recepito dagli artt. 1,
 quarto comma, e 2,  del  decreto-legge  22  dicembre  1990,  n.  409,
 convertito nella legge 27 febbraio 1991, n. 59.
    E chiede al pretore:
       c)   in   via   principale,   di  far  decorrere  il  ricalcolo
 pensionistico  ivi  previsto  dalle  rispettive  date   di   iniziale
 decorrenza della pensione;
       d)   in   via   subordinata,  di  dichiarare  rilevante  e  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 delle  citate  disposizioni  di legge, in riferimento al principio di
 ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione, nella parte in cui fanno
 decorrere detto ricalcolo dal periodo successivo al 31 dicembre 1989,
 anziche' dall'anno di pensionamento, e fino al 31 dicembre  1990,  in
 ragione solo del 60%.
    In  giudizio  resiste l'istituto convenuto, il quale ravvisa negli
 stessi enunciati normativi  invocati  dai  ricorrenti  insormontabili
 ostacoli  all'accoglimento  delle  proposte domande di riliquidazione
 pensionistica, riferendosi tali enunciati solo ed esclusivamente alle
 pensioni liquidate successivamente alle rispettive date  ivi  contem-
 plate.
    Quanto poi alle censure di legittimita' costituzionale prospettate
 in  subordine  dagli attori, l'istituto chiede che vengano dichiarate
 manifestamente infondate. E in proposito richiama la motivazine della
 sentenza n. 173/1986 del giudice delle leggi.
    Chiarite in tal modo le rispettive e contrapposte posizioni  delle
 parti, il pretore osserva quanto segue in ordine alle stesse.
    2. - Le domande sub a) appaiono infondate.
    L'art. 19 della legge n. 155/1981 si riferisce esplicitamente solo
 agli  assicurati  con  pensione  avente  decorrenza  successiva al 31
 dicembre 1980; talche' non  e'  consentita  alcuna  riliquidazione  a
 favore  dei  gia'  pensionati, neppure con decorrenza del ricalcolo a
 partire dal 1º gennaio 1981.
    Lo stesso dicasi quanto alle ulteriori norme, che hanno aggiornato
 il massimale  di  retribuzione  pensionabile,  e  cioe'  all'art.  3,
 tredicesimo  comma,  della legge n. 297/1982 e all'art. 9 della legge
 n. 140/1985. Tali  disposizioni  richiamano  invero,  esplicitamente,
 l'art.  19  della  legge  n. 155/1981 e, pertanto, pur nell'apparente
 diversa  formulazione,  non  possono  trovare  applicazione  ai  gia'
 pensionati,  attribuendo loro il diritto al ricalcolo del trattamento
 dalle date ivi rispettivamente indicate.
    3.  - La questione prospettata sub b), ancorche' gia' decisa dalla
 Corte (cfr. sent. 7 luglio 1986, n. 173, par. 11, in Foro it.,  1986,
 I, c. 2095; nonche' ord. 16 marzo 1989 n. 120, in Gazzetta Ufficiale,
 serie  speciale,  22  marzo  1989  n.  12), merita comunque di essere
 riproposta.
    La discrezionalita' legislativa e le esigenze  di  modificare  con
 gradualita'  la  disciplina in oggetto, in vista di un suo definitivo
 superamento, certamente non autorizzano la violazione  del  principio
 di  eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione e cioe' di ugual
 trattamento a parita' di condizioni,  non  consentendo  in  tal  modo
 l'introduzione di discriminazioni irrazionali.
    La  qual  cosa  si e' appunto verificata con le disposizioni sopra
 richiamate,  laddove  queste  hanno  introdotto  nuovi  massimali  di
 retribuzione  pensionabile,  in  luogo di quelli antecedenti, a lungo
 cristallizzati o aggiornati in modo del tutto  inadeguato,  omettendo
 peraltro di estenderne i benefici anche ai gia' pensionati.
    Per  avere  una  esatta  dimensione  del  problema  e' sufficiente
 considerare che il massimale di L. 12.601.600, introdotto nel 1968  e
 rimasto  in vigore sino al 31 dicembre 1980, corrisponderebbe in base
 agli indici I.STAT. a L. 58.532.000 del 1981 e non a  L.  18.500.000,
 come  previsto  dall'art. 19 della legge n. 155/1981 (cfr. AA.VV., Il
 trattamento di fine rapporto, Padova 1984, p. 161). Inoltre,  secondo
 il  sistema  di  indicizzazione  menzionato  nell'art. 3, tredicesimo
 comma, della legge n. 297/1982, il  massimale  dal  1º  gennaio  1985
 avrebbe  dovuto  essere  pari  a  L.  22.819.000, se non fosse invece
 intervenuta la piu' favorevole disposizione di cui all'art.  9  della
 legge  n. 140/1985, che lo ha viceversa elevato a L. 32.000.000 (cfr.
 Le nuove leggi civili commentate, 1986, p. 280).
    In conseguenza di siffatte disposizioni  avviene  allora  che  gli
 stessi  anni  di  retribuzione, da prendere in considerazione ai fini
 del  calcolo   della   retribuzione   media   pensionabile,   vengano
 assoggettati a diverso massimale, a seconda che il calcolo in oggetto
 sia effettuato in una data piuttosto che in un'altra.
    Talche' "due lavoratori aventi la stessa anzianita' contributiva e
 lo  stesso  livello  possono  trovarsi  titolari  di  pensioni che si
 differenziano di circa 6.000.000 di lire per il solo fatto che  l'uno
 risulti  quiescente ventiquattrore prima dell'altro" (cosi' Foro it.,
 1986, I, c. 2089). Il che comporta un annullamento del collegamento o
 un piu' svantaggioso collegamento tra retribuzione  e  pensione,  con
 conseguente  "disparita'  di  trattamento  tra i pensionati a seconda
 della decorrenza della prestazione" (cosi'  Le  nuove  leggi  civili,
 cit., p. 280).
    4.  -  Anche  la  questione  sub  c),  che  concerne  quelli tra i
 ricorrenti la cui pensione decorre da epoca anteriore al 31  dicembre
 1984, non pare poter trovare favorevole accoglimento.
    La  riliquidazione in oggetto decorre invero dal 1º gennaio 1990 o
 da epoca successiva, in relazione alla data  di  presentazione  della
 domanda da parte dell'assicurato.
    Il    che   sicuramente   pone   un   problema   di   legittimita'
 costituzionale, con riferimento all'art. 3 della  Costituzione  e  al
 principio di ragionevolezza che da esso puo' essere desunto.
    Per  intendere  la  questione  negli  esatti  termini  in  cui  va
 collocata, occorre peraltro introdurre, a questo punto,  un  doveroso
 chiarimento.
    5. - Nella concreta esperienza della Corte costituzionale l'art. 3
 della  Costituzione  e'  in un primo tempo stato inteso ed utilizzato
 per  introdurre  un  giudizio   essenzialmente   ternario   e   cioe'
 relazionale;  fondato  cioe'  sul rapporto di identita'-similitudine-
 diversita' tra due o piu' pesone o cose ed un determinato bene  o  un
 determinato standard di misura.
    In  questo  quadro  concettuale  sono  venuti  assumendo  un ruolo
 fondamentale ed imprescindibile i c.d. tertia comparationis  e  cioe'
 le   norme   o   i  principi  positivi  dalla  cui  (non  contestata)
 operativita' discende,  in  virtu'  di  altra  norma  contestata,  la
 disparita' di trattamento.
    In  ordine  a  cio' v. Corte costituzionale 30 gennaio 1980, n. 10
 (in Giur. cost., 1980, I, p. 87) ove si legge che "le valutazioni  di
 legittimita' costituzionale sul rispetto del principio di eguaglianza
 (. . . ) comportanto per definizione che la normativa impugnata venga
 posta  a  raffronto  con  un'altra o con altre normative (. . .), per
 stabilire in tal modo se il legislatore  abbia  dettato  disposizioni
 cosi'   poco   ragionevoli  da  doversi  ritenere  costituzionalmente
 illegittime".
    Per un verso la progressiva e crescente individuazione  di  sempre
 nuovi  tertia comparationis, rappresentati anche da principi generali
 dell'ordinamento, e, per l'altro, l'approfondimento (sulla  scia  dei
 risultati  cui e' pervnuta la dottrina tedesca in tema di Gleichheit)
 del profilo di "ragionevolezza" delle disposizioni  impugnate,  hanno
 consentito  alla Corte, nel periodo piu' recente, di ammettere alcuni
 casi di giudizio ex art. 3 della Costituzione,  sciolto  peraltro  da
 considerazioni  comparative  e  cioe'  consistente in un controllo di
 logicita' irrelato.
    L'indagine imperniata sulla verifica  della  possibile  violazione
 del  principio  di eguaglainza ha cosi' finito, ad. es. "per sfociare
 nel  sindacato  sulla   giustificatezza   delle   norme   legislative
 impugnate", sindacato che "viene fatto dipendere dalla corrispondenza
 delle  norme  stesse agli scopi perseguiti dal legislatore"; "andando
 cosi' (la  Corte)  alla  ricerca  delle  contraddizioni  nelle  quali
 potrebbe  esser  caduta  la  regolamentazione sindacata" (cosi' Giur.
 cost., 1984, I, pp. 254-55).
    Gli esempi piu' significativi di  questo  recente  indirizzo  sono
 costituiti dalle seguenti pronunce:
       a) sent. 18 dicembre 1987 n. 560 (cfr. Giur. cost., 1987, I, p.
 3534),  che  ha  dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.
 21, primo comma, della legge 24  dicembre  1969,  n.  990  (Fondo  di
 garanzia  per  le  vittime  della  strada)  "per  la parte in cui non
 prevede l'adeguamento dei valori monetari ivi indicati"; e cio', come
 si legge in motivazione, per "la  irrazionalita'  della  disposizione
 legislativa  che non colloca nel flusso temporale la ponderazione dei
 valori monetari della prestazione risarcitoria";
       b) sent. 11 febbraio 1988 n. 156 (cfr. Giur. cost., 1988, I, p.
 525), che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.  6,
 terzo  comma, del decreot-legge 22 dicembre 1981, n. 791, conv. nella
 legge 26 febbraio 1982,  n.  54  (Opzione  per  la  prosecuzione  del
 rapporto  di lavoro sino al sessantacinquesimo anno di eta' o sino al
 conseguimento dell'anzianita' contributiva massima) "nella  parte  in
 cui  non  dispone  che  il termine ivi previsto per l'esercizio della
 facolta' di opzione. . . non possa comunque scadere prima  che  siano
 trascorsi   sei   mesi   dall'entrata  in  vigore  del  decreto-legge
 medesimo"; e cio' in quanto "il legislatore (. . . ) e' caduto  nella
 singolare  contraddizione  di  prevedere  ad un tempo che in tal caso
 (cioe' per chi ha maturato gia' il  diritto  a  pensione  n.d.r.)  si
 prescinde  dalla  comunicazione  al  datore di lavoro e, subito dopo,
 che, invece, tale comunicazione deve essere effettuata non  oltre  la
 data  in  cui  i predetti requisiti vengono maturati", contraddizione
 che  "segnala  l'irrazionalita'  intrinseca  della  disposizione  ora
 richiamata";
       c) sent. 26 luglio 1988, n. 882, (cfr. Giur. cost., 1988, I, p.
 4153), che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1,
 ultimo  comma, del decreto-legge 9 dicembre 1986, n. 832, conv. nella
 legge 6 febbraio 1987, n. 15 (Indennita' di buonuscita  a  favore  di
 conduttore   che  gestisca  un'attivita'  di  impresa);  e  cio'  per
 "l'interna contraddizione di una mens  legis  che  contemporaneamente
 vuole  e  disvuole  l'affermazione  di un atto di autonomia privata",
 risultando cosi' "violato il principio di ragionevolezza  imposto  al
 legislatore dall'art. 3 della Costituzione";
       d) sent. 23 febbraio 1989, n. 55 (cfr. Giur. cost., 1989, I, p.
 316), che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 28,
 terzo  comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Divieto di rinnovare
 per piu' di cinue anni i contratti annuali tra Universita' e  lettori
 di lingua straniera), nella parte in cui non consente la prosecuzione
 del  rapporto  oltre  l'anzidetto  limite  temporale;  apparendo tale
 divieto irrazionale sia alla stregua delle  finalita'  dell'art.  28,
 sia  alla  luce delle conseguenze pratiche aberranti da esso determi-
 nate" e cioe' in contrasto "con il principio di ragionevolezza di cui
 all'art. 3 della Costituzione";
       e) sent. 21 marzo 1989, n. 141 (cfr. Giur. cost., 1989,  I,  p.
 678), che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 29,
 terzo  comma, della legge 4 febbraio 1952, n. 218 (Pensione spettante
 agli iscritti all'assicurazione facoltativa) "nella parte in cui  non
 prevede  un  meccanismo  di  adeguamento  dell'importo  nominale  dei
 contributi versati dal giorno della sua entrata in vigore in poi";  e
 cio'  in quanto "l'omissione oggetto di censura rende la norma stessa
 non rispondente al fine medesimo sotto il profilo  dell'effettivita',
 in esso naturalmente implicito".
    L'importanza di questo orientamento interpretativo in tema di art.
 3  della  Costituzione  e'  stata  del resto evidenziata dallo stesso
 presidente della Corte, nella  relazione  annuale  su  "La  giustizia
 costituzionale nel 1987" (cfr. Giur. cost., 1988, II, p. 180), ove al
 par. 3.2 si legge quanto segue:
      ".  .  .  pur  astenendosi  naturalmente dal sindacare le scelte
 politiche  del  legislatore,  la  Corte  ha  portato  il  suo   esame
 sull'intrinseca  ragionevolezza  della  norma,  in  se'  considerata,
 allorquando  non   era   prospettabile   il   confronto   con   altre
 disposizioni: e cosi', con la sent. n. 560, ha ritenuto irragionevole
 il  mancato adeguamento dei criteri di determinazione dell'indennizzo
 dovuto dal Fondo di solidarieta' per le vittime della strada,  quando
 l'autore   dell'illecito   sia   rimasto  ignoto  overo  risulti  non
 assicurato".
    6. - Cio' posto, torniamo a considerare il caso oggetto di causa.
    L'art.  2 del d.P.C.M. 16 dicembre 1989 (Gazzetta Ufficiale n. 299
 del 23 dicembre 1989), ora recepito dgli artt. 1, quarto comma, e  2,
 del  decreto-legge  22  dicembre  1990,  n. 409, conv. nella legge 27
 febbraio 1991, n. 59, ha introdotto nuovi massimali  di  retribuzione
 pensionabile,  in  sostituzione  dei  precedenti,  ritenuti  iniqui e
 inadeguati; e li ha innalzati, rispetto a quelli  vigenti  all'epoca,
 in modo decisamente considerevole.
    In  pari  tempo  ha  previsto  un  sistema  di  riliquidazione dei
 trattamenti pensionistici, a favore dei  pensionati  sottoposti  alla
 precedente  disciplina dei tetti. Senonche' ha limitato temporalmente
 la corresonsaione degli arretrati solo al periodo  successivo  al  31
 dicembre  1989  e  inizialmente, e cioe' fino al 31 dicembre 1990, in
 ragione solo del 60% del dovuto.
    In tal modo la legge ha messo capo  ad  una  disciplina  normativa
 contrassegnata   internamente   da   elementi   assai   evidenti   di
 irrazionalita', irrispettosi come tali del canone  ex  art.  3  della
 Costituzione, come sopra precisato.
    Da  un  lato  riconosce  infatti  iniquita'  dei  vecchi  tetti  e
 inadeguatezza del loro  aggiornamento;  dall'altro  fa  decorrere  la
 liquidazione  degli  arretrati  da  data  sensibilmente  posteriore a
 quella in cui tale iniquita' risulta riconosciuta. Crea in  tal  modo
 un divario tra il momento in cui per il pensionato si e' consumato il
 danno  e  il  momento  in  cui si provvede ora alla riparazione della
 perdita subita.
    Il nuovo sistema comporta inoltre nuove sperequazioni  nell'ambito
 della fascia di pensionati che sono divenuti tali nell'arco temporale
 in cui era operante la vecchia disciplina dei tetti, ora aggiornata.
    E'  indubbio  infatti  che  le  maggiori  perdite,  come del resto
 attestato dalla c.t.u. contabile  in  atti,  sono  state  subite  dai
 titolari  di  trattamento  pensionistico  con decorenza iniziale piu'
 remota nel  tempo.  Questi,  peraltro,  anziche'  essere  magiormente
 ristorati,  in  quanto  piu' estesi furono il sacrificio imposto e la
 perdita subita, sono viceversa risarciti  in  modo  proporzionalmente
 minore e decrescente ispetto all'entita' del danno loro derivato.
    Il  che appare contraddittorio con lo scopo perseguito dalla norma
 in oggetto, scopo che in tal modo viene in buona sostanza vanificato.